Raccolto in Sila un meteorite rarissimo

Studiosi della scienza dei materiali in fermento per la scoperta sul Gariglione di un meteorite con quasicristalli

La scoperta è importantissima e sta avendo un eco internazionale. Tutto è iniziato quando un collezionista ha trovato sulla sommità del monte Gariglione, in Sila Piccola, un piccolo reperto insolitamente lucentissimo e lo ha inviato all’Università di Bari per le analisi. Rendendosi conto che si trattava di un interessante micrometeorite  sono state convolte nello studio anche l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l’Università di Firenze dove opera Luca Bindi, considerato uno dei maggiori esperti mondiali in questa materia.  I risultati delle analisi e dello studio del reperto  sono stati pubblicati sul sito www.nature.com.

Vetta del Monte Gariglione dove è stato trovato il meteorite

Il piccolo meteorite ha una forma ovoidale ed è inferiore ad un millimetro (circa 0,54 x 0,40 mm).  E’ il terzo finora scoperto a contenere una rarissima lega di alluminio, rame, ferro e silicio. Inoltre presenta un quasicristallo di origine naturale  formatosi con gli stessi elementi. Una struttura  considerata quasi ‘impossibile’ perché, a differenza dei normali cristalli, segue schemi che non si ripetono mai. Questa clamorosa scoperta ha un solo precedente al mondo: nel 2011 a Khatyrka, nell’Est della Siberia, un team internazionale del quale faceva parte anche Luca Bindi, trovò il primo quasi cristallo naturale in un meteorite.

Immagine al SEM del meteorite silano

I quasicristalli sono materiali che violano le regole di simmetria cristallografica che si applicano ai cristalli ordinari. Tale caratteristica viene sfruttata per numerose applicazioni industriali e tecnologiche. Furono scoperti da Dan Shechtman poi premiato nel 2011 con un Nobel. La scoperte nel meteorite silano sono state annunciate anche dall’Agenzia Spaziale Italiana che ha illustrato la vicenda in un articolo sul sito proprietario e dalla stessa Università di Bari che ha emesso un comunicato stampa esplicativo.

Mappa degli elementi del meteorite

I misteri di Longobucco

Una grande caverna nel ventre della montagna, uno smisurato giacimento di tungsteno, una probabile miniera d’oro. La versione integrale dell’articolo pubblicato dal giornalista Mario Morrone sulla Gazzetta del Sud del 17 agosto 2023.

Longobucco è noto fin dall’antichità per le sue miniere dove si cavavano solfuri, in particolare blenda e galena argentifera.  Verso la metà degli anni ’80 del secolo scorso, la società Snia Viscosa ha effettuato delle prospezioni minerarie sulla montagna che sovrasta il centro urbano individuando un enorme giacimento di tungsteno in particolari rocce chiamate skarn. Non solo, ma è emersa la presenza di una grande cavità nel ventre della montagna. Abbiamo intervistato Luigi Spadafora di San Giovanni in Fiore, insegnante di laboratorio di elettronica e profondo conoscitore del territorio silano, che si è procurato e ha studiato le relazioni sui lavori della società milanese e ci ha fornito il materiale per scrivere queste note. Pare che il tungsteno sia presente in una vasta area con tenori spesso elevati. La società Snia ha però rinunciato nel 1987 alla coltivazione del giacimento probabilmente per difficoltà logistiche in quanto la zona è alquanto impervia e la presenza del minerale è piuttosto discontinua.

Per quanto riguarda la cavità, questa è stata individuata durante due carotaggi nelle vicinanze di Croce Reinella. Nel primo carotaggio si è incontrato un vuoto a 53 metri di profondità. Una sonda, successivamente calata nel foro, è scesa fino alla profondità di 86 metri. Nel secondo carotaggio il vuoto si è incontrato a 30 metri di profondità.

Ma, come si è formata questa cavità? E’ lo stesso Luigi Spadafora che ci spiega che non si tratta di una caverna di origine antropica ma potrebbe essere il risultato dello scavo prodotto da acque sotterranee che hanno dissolto uno strato di calcite, minerale presente sul posto. Ci troveremmo, in questo caso, davanti ad una grotta carsica, probabilmente piena di stalattiti e stalagmiti. La cavità potrebbe avere anche un’origine tettonica ma, l’ipotesi più suggestiva, è che si tratti di un enorme geode come quello di Santa Barbara ad Iglesias che attira, ogni anno, migliaia di visitatori. In questo caso, all’interno della cavità, potrebbero trovarsi, oltre alle stalattiti, anche grandi cristalli di inestimabile valore. Potrebbero esserci anche spalmature o venuzze di oro, in quanto, il prezioso metallo, è spesso associato agli skarn a tungsteno. Forse non è un caso che, il giudice Giuseppe Zurlo, nel volume primo della sula opera “Stato e storia della Regia Sila” pubblicato nel 1866, scrisse che nell’area, nell’antichità, era presente anche una miniera d’oro.

Luigi Spadafora conclude dicendo che, i tecnici della Snia, focalizzati sulla ricerca del tungsteno, hanno sottovalutato l’importanza potenziale della cavità e con mezzi moderni, come gravimetri, georadar e telecamere endoscopiche, si potrebbero scoprire informazioni utili sulla sua geometria e sulle sue dimensioni.

Lo stesso toponimo “Longobucco”, per molti letteralmente “lungo buco”, potrebbe essere legato alla presenza di questa cavità che, magari un tempo, era raggiungibile dall’esterno grazie ad una uscita scavata dalle acque circolanti  al suo interno.

Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud del 17/08/23

Scoperte le tracce dell’antica “minera” di Savelli

Non lontano da Serra Toppale, nel territorio di Savelli, sono state rinvenute da Luigi Spadafora delle scorie di fusione ferrose. Sono sicuramente la testimonianza di una attività metallurgica legata alla estrazione di minerali ferrosi nella miniera citata in un editto di Re Roberto d’Angiò del 1333 e nel volume “Stato e Storia della Regia Sila” di Giuseppe Zurlo del 1862. Inoltre, nei pressi della sommità di Serra Toppale, è stato raccolto un campione di una roccia cornubianitica prodotta da una inclusione magmatica in una roccia incassante formata probabilmente da filladi contenenti sericite. Questi ritrovamenti fanno pensare che l’antica “Serra della Minera” vicino Savelli, non corrisponda, come poteva suggerire il nome, al Cozzo del Ferro ma a Serra Toppale. Per le attività minerarie in Sila nel medioevo si segnalano anche le opere di Francesco Cuteri. Di seguito riportiamo la nostra intervista integrale a Luigi Spadafora.


Savelli: scoperte le tracce dell’antica “minera”

Nell’editto del 1333 con il quale il re Roberto d’Angiò procedeva alla delimitazione del tenimento della Sila di Cosenza si cita la Serra della Minera, non distante dall’attuale Villaggio Pino Grande, nel territorio di Savelli. Questo toponimo indicava una montagna tra Savelli e Bocchigliero dove “nel tempo passato si cavava il ferro”  come scrisse Giuseppe Zurlo nel primo volume del suo “Stato e Storia della Regia Sila”, pubblicato nel 1862.  Ma dove si trovava, con precisione, questa miniera? In quali anni è stata operativa considerando che il toponimo esisteva già nel 1333? Chi estraeva il minerale visto che la vicina cittadina di Savelli è stata fondata successivamente nel 1638?  A queste domande non si è riusciti finora a dare una risposta ma una nuova scoperta fatta da Luigi Spadafora di San Giovanni in Fiore, potrebbe portare luce sulla oscura questione. Allo Spadafora, insegnate di laboratorio nella scuola superiore, non nuovo a questo tipo di scoperte, rivolgiamo alcune domande.

Spadafora, ci racconta cosa ha trovato sulle montagne che sovrastano il paese di Savelli?

Ero stato sul posto diverse volte con dei miei collaboratori spinti dalla lettura di alcuni studi pubblicati negli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso da Benedetto De Vivo dell’Università di Napoli che segnalavano la presenza di filoni metallici nell’area compresa tra Serra Toppale e Cozzo del Ferro. Ma, nell’occasione, abbiamo trovato solo degli indizi vaghi di mineralizzazioni a solfuri. Questa volta, invece, cercando in un pianoro non tanto distante dalla sommità di Serra Toppale ho notato la presenza di piccole scorie di fusione contenenti ferro. Ho raccolto un campioncino grande quanto un’unghia per farlo analizzare. Le scorie sono rimaste sul posto, le segnalerò alla Soprintendenza appena avrò il risultato delle analisi. Nello stesso giorno, ho raccolto anche un campione di roccia ad un chilometro di distanza dal pianoro delle scorie e questo presenta una debole conducibilità elettrica, indice della presenza di metalli. Ho inviato il campione delle scorie e quello della roccia ad una università del nord e spero di avere i risultati dell’analisi in tempi accettabili.

Qual è, in parole semplici, il significato di queste scoperte?

Per prima cosa e che, l’antica “Serra della Minera” di Savelli, non corrisponde al Cozzo del Ferro, come poteva suggerire il nome di quest’ultima località, ma all’attuale Serra Toppale. Poi, appare evidente, che il minerale di ferro non veniva solo cavato ma subiva anche una prima lavorazione sul posto.  Veniva fuso e stoccato nel pianoro dove ho trovato le scorie. Successivamente le scorie o blumi venivano trasportate e lavorate presso antichi insediamenti umani distanti dalla montagna. Resta da determinare il luogo dove si estraeva il minerale ferroso e se le analisi confermeranno la presenza di ferro nel campione di roccia conduttiva, questo potrebbe vicino al luogo dove ho raccolto quest’ultimo reperto.

Ma se, ai tempi della miniera, Savelli non esisteva ancora, chi si occupava della estrazione e della fusione del minerale di ferro?

Serra Toppale si trova più o meno a metà strada tra Savelli e Bocchigliero. E’ molto probabile che siano stati gli abitanti di quest’ultimo paese, di origini molto antiche, a coltivare il minerale di ferro presente nell’area montana. Una conferma a questa ipotesi si trova su un libro di Nicola M. Papparella pubblicato nel web sul sito Academia.edu. Infatti, lo studioso locale, ha inserito nel testo una foto che ritrae delle scorie di fusione, rinvenute in alcune località del territorio di Bocchigliero, praticamente identiche a quelle trovate da me a Serra Toppale.

Lei ha trovato, alcuni anni fa, dei panetti di ferro, testimonianza di una attività metallurgica, probabilmente medievale, sulla sponda di un lago della Sila. Può dirci che fine hanno fatto questi reperti?

Ho segnalato la presenza dei panetti in ferro alla Soprintendenza nel 2017 in occasione della conferenza in cui si annunciava la scoperta dell’Elephas antiquus nel Cecita. Di seguito ci siamo recati con l’allora sopraintendente Mario Pagano e altri due suoi collaboratori nel luogo di ritrovamento ma nella notte aveva nevicato e siamo riusciti a localizzare solo uno dei panetti. Durante questa escursione ho consegnato al dott. Pagano il più bello dei panetti che avevo già prelevato sul posto e che ora fa bella mostra di se nella sede della Soprintendenza a Cosenza. Successivamente ho saputo che la Soprintendenza aveva rinunciato al recupero degli altri panetti per problemi di spazio. A questo punto, ho contattato la precedente amministrazione comunale di San Giovanni in Fiore affinché si facessero autorizzare al ritiro dei reperti per poi esporli nel Centro Gioachimita o nel Museo Demologico. Ho specificato che li avrei accompagnati ovviamente a titolo gratuito. Sto aspettando ancora la risposta. Appena mi sarà possibile, contatterò il nuovo sindaco, sperando, questa volta, di avere maggiore fortuna.

scorie ferrose serra toppale savelli
Scorie rinvenute a Serra Toppale


Le scoperte sono state annunciate anche in un articoletto sulla Gazzetta del Sud del 10 marzo 2022 che inseriamo di seguito. Bisogna puntualizzare che per un refuso sul pezzo della Gazzetta si sono invertite le posizioni di Serra Toppale e Cozzo del Ferro.

articolo gazzetta del sud
Articolo della Gazzetta del Sud

Inaugurazione magazzini Abbazia Florense


Nella serata di ieri, 21 giugno 2019, sono stati inaugurati e aperti al pubblico i Magazzini Badiali dell’Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore. Nell’ occasione, Pino Belcastro, sindaco della cittadina silana ha dichiarato:  “E’ da tempo immemore che i magazzini badiali sono chiusi al pubblico. Solo nel 2007 vi sono entrati i tecnici della soprintendenza durante una campagna di scavi, nel corso della quale sono venute alla luce testimonianze architettoniche di un passato antichissimo e risalente addirittura alla fine del VI° secolo”.

Gli scavi del 2007 hanno dimostrato con certezza che esisteva un altro insediamento antecedente a quello costruito dall’Abate Gioacchino. Il luogo ha avuto, quindi, un passato longobardo come si evince dal toponimo Faradomus con cui era conosciuto. E’ molto probabile che nel luogo chiamato Fiore si fosse insediata una fara longobarda costituta da un gruppo di famiglie con lo scopo di colonizzare l’area silana che circonda l’attuale San Giovanni in Fiore.

A tal proposito vanno ricordate altre scoperte che confermano, direttamente o indirettamente, l’ipotesi. Ricordiamo che nel 1933, un gruppo di scalpellini al lavoro, trovò, sulla Serra Grande di Caccuri, un tomba longobarda con un ricco corredo funerario. Un paio di anni fa, dal lago Cecita in secca, oltre ad alcune parti di un elefante preistorico, saltarono fuori le tracce di un’officina longobarda con una tipica arma ancora da rifinire. Nello stesso periodo, il titolare di questo sito, Luigi Spadafora, ha segnalato al sovrintendente per i beni archeologici dott. Pagano, un carico formato da almeno 20 panetti in ferro consegnandogliene uno. Il ferro, di probabile origine medievale, si trova sotto le acque di un lago della Sila.

magazzini abbazia florense

magazzini abbazia florense2

La robotica all’ITI Elettrico di S. Giovanni in Fiore

La politica del rafforzamento e valorizzazione dei laboratori tecnici voluta dal nuovo preside Giovanni Tiano ha iniziato a dare i suoi frutti. Sono appena iniziate le lezioni di robotica nelle discipline Sistemi e Tecnologia dell’indirizzo Elettrico nell’Istituto Tecnico Industriale di San Giovanni in Fiore già IPSIA.

I robot utilizzati, già installati e operativi nel laboratorio di Elettrotecnica dell’indirizzo elettrico sono due. Il primo è un Scorbot ER 3 della israeliana Intelitek, leader nella costruzione di robot didattici. Il secondo, che ha poco da invidiare ai robot della Fiat, è un robot industriale della Mitsubishi. Si tratta del Movemaster RV-M1 una macchina di eccellenza per meccanica, elettronica e software.

La superba dotazione si affianca alle apparecchiature relative alla meteorologia e alle tecnologie del fotovoltaico già presenti nell’Istituto ponendolo all’avanguardia del panorama didattico calabrese.

 

SOVERIA CITTÀ DEL SOLE

SOVERIA CITTÀ DEL SOLE. CALIGIURI: “PUNTIAMO ALL’AUTONOMIA ENERGETICA”

SOVERIA MANNELLI (10.03.2010) – “È proprio quando cade la pioggia, che occorre guardare al sole”. Così Mario Caligiuri, Sindaco di Soveria Mannelli, presenta in questi giorni segnati dal maltempo battente il Progetto “Città del Sole”, parte significativa del programma votato dagli elettori nel giugno scorso. Il primo cittadino spiega: “Puntiamo sull’autonomia energetica di tutti gli immobili comunali, all’utilizzo dell’energia fotovoltaica per alleggerire le bollette di tutte le famiglie e per finanziare il bilancio comunale”. Il progetto coinvolge in prima battuta l’Amministrazione Comunale con la realizzazione di una rete di impianti fotovoltaici su tutti gli edifici pubblici e su alcuni suoli di proprietà comunale, ma mira a coinvolgere il maggior numero di cittadini nella diffusione dell’energia solare e nel conseguente risparmio energetico ed economico. Il Comune punta a produrre energia per coprire il fabbisogno di illuminazione e riscaldamento di tutti gli edifici, comprese le scuole, l’illuminazione delle strade, il funzionamento delle due fontane in viale Rubettino e in località Calvario e l’illuminazione e il riscaldamento della Piscina comunale dove i pannelli fotovoltaici sono stati pensati come parte integrante della copertura già in fase di progettazione. L’Amministrazione Comunale ha già pubblicato un bando con scadenza 8 aprile 2010 per individuare la società che realizzerà il progetto. Nell’avviso pubblico sono specificate tutte le condizioni per la realizzazione delle strutture e per il coinvolgimento della cittadinanza. I terreni e le superfici destinate agli impianti saranno dati in concessione alla società aggiudicatrice per 20 anni. La società dovrà garantire ai cittadini che chiederanno di intervenire sulle proprie abitazioni o sui propri terreni, la possibilità di accedere a forma di credito per la concessione degli incentivi previsti dal Decreto Bersani. Il primo cittadino ha concluso commentando “Il Progetto “Soveria, Città del Sole” è uno degli obiettivi più importanti che l’Amministrazione Comunale si è posta per la presente legislatura. Aggiungendo alla totale informatizzazione e ai collegamenti internet gratuiti per tutti anche la totale autonomia energetica. Intendiamo realizzare un progetto ambizioso, non certo facile ma alla nostra portata, che può dimostrare che anche nel Sud e nei piccoli comuni è possibile pensare al futuro”.