L’altopiano silano è una terra antichissima, emersa quando gran parte dell’Italia era ricoperta dal mare Mediterraneo. In una delle foto in basso si vedono delle conchiglie marine fossili, un reperto da noi fotografato a circa 700 metri sul livello del mare nel territorio di Caccuri.
Si pensa che la prima comunità insediatasi in Sila fu quella dei Vituli o Itali, una tribù enotrica dedita all’allevamento dei bovini, che adorava un animale totemico, un vitello, fonte principale del loro sostentamento. E Vitulia o Vitalia fu il primo nome della Sila che, in seguito grecizzato, divenne Italia ed esteso all’intera penisola.
Il nome Sila, invece, deriva quasi sicuramente dal latino Silva che significa selva. Quindi i romani indicavano con questo nome quella che era la selva per antonomasia, l’ultima foresta vergine d’Europa. La più antica citazione della Sila pervenutaci risale al 138 a.C. ad opera di Marco Tullio Cicerone in un passo del “Brutus”. Il brano di Cicerone ricorda un feroce episodio di sangue durante il quale alcuni personaggi noti furono assassinati dai loro schiavi con la complicità degli appaltatori della produzione della pece.
Dallo scritto appare chiaro che i romani sfruttavano in modo intensivo la Sila e che traevano dall’altopiano legname per le abitazioni e per la costruzione delle navi e pece di pino per vari usi tra cui quello medicinale. I romani si appropriarono del territorio silano dopo la resa dei Bruzi, antico popolo italico che staccatosi probabilmente dai Lucani si stabilì alle falde del massiccio montano vivendo di pastorizia e attività boschive.
Sono numerose le citazioni della Sila che ci provengono da autori classici come Sallustio, Strabone, Plinio il Vecchio. Lo stesso Virgilio nelle “Georgiche” e nell’ “Eneide” descrive in suggestivi scenari silani cruente lotte tra tori. Dalle “Georgiche” citiamo un suo famoso verso: “Pascitur in magna Sila formosa juvenca”.
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