Le ostilità della seconda guerra mondiale hanno inizio il 10 giugno 1940 con la dichiarazione di guerra alla Francia che si è risolta con una passeggiata. Non altrettanto facile è stata l’impresa italiana sugli altri fronti: Grecia, Cirenaica, Russia. Tre anni di guerra sui vasti fronti che hanno dissanguato le nostre risorse. La battaglia di El Alamein, il gelo della steppa Russa, i partigiani di Jugoslavia, non davano alcuna possibilità di salvezza. Il nostro sistema difensivo costiero era debolissimo, inconsistente. Non si potevano affrontare le armate corazzate angloamericane con la difesa ed offesa dei soli moschetti Breda 41, con due bombe a mano in dotazione personale e per la difesa collettiva alcune mitragliatrici, di mortai e di una contraerea di poche batterie con cannoni di vecchio tipo. Contro le azioni di sbarco possibili in molte parti della nostra penisola, potevamo fare un’onorevole resistenza, ma certamente non potevamo contrastare per come i fatti ci hanno dimostrato.
Il mese di gennaio 1943, incomincia con un’abbondante nevicata in Sila. Il 12 gennaio siamo stati chiamati alle armi tutti i giovani del 1923, rinviati o dispensati dal servizio in precedenza ed i giovani del 1° quadrimestre del 1924. A Casapaquale dove lavoravo con la S.M.E. fui raggiunto da una telefonata delle strutture interne della Società che mi comunicavano il richiamo alle armi. Erano le ore 9 del 12 gennaio 1943. In mancanza di automezzi pubblici e privati affrontai le montagne innevate di Campo di Manna, dei Virardi, di Sciolle e soltanto dopo 5 ore raggiunsi San Giovanni in Fiore, bagnato e stanco, in tempo utile per salutare amici e parenti. Il 13 mattino partii con altre giovani reclute e con l’unico autobus dell’ITAS, in un viaggio lungo via Savelli, poiché la Sila era intransitabile a causa dell’abbondante nevicata. Sull’altopiano di Savelli siamo dovuti più volte scendere e spingere l’autobus. Nel pomeriggio siamo giunti al Distretto Militare, che all’epoca era ubicato nel Convento dei Frati Cappuccini di via Riforma. Verso le dieci di sera le circa 300 giovani reclute, inquadrate e con in testa la fanfara militare, ci portano alla stazione ferroviaria. Durante il percorso si era radunata molta gente: donne, uomini, bambini. Questi ultimi ci battevano le mani, gli altri, gli adulti, tra i quali vi erano alcuni parenti dei partenti, avevano visi tristi, le donne in particolare con le lacrime agli occhi.
I più raggiungemmo destinazione in Piemonte dopo due notti e due giorni. Il 16 gennaio fummo in Caserma, in territorio dichiarato in stato di guerra. Lunghe marce di 50 e più km. al giorno, istruzioni di tiro al bersaglio ecc. La notte spesso non si riusciva a dormire. Ad ogni allarme aereo eravamo costretti ad alzarci ed a raggiungere il letto del Fiume Stura. Alcune volte ci prendeva il sonno rannicchiati nella neve. Il 3 maggio 1943 siamo partiti per ignota destinazione, in zona d’operazione a Posta Militare n.94. Alla partenza l’anziano colonnello, comandante del Presidio Militare, mentre ci rivolgeva il saluto, si commuove ed a fatica trattiene il pianto. All’uscita dalla Caserma ci salutano le donne fasciste e le piccole italiane che ci offrono sigarette, cartoline e penne per scrivere. Giunti in Stazione troviamo pronta la “tradotta” militare consistente in decine di vagoni usati per il trasporto di merci e bestiame e li dentro veniamo “stipati” come sarde in piedi e con le armi addosso. Il treno per far perdere le tracce dello spionaggio ci portò prima verso nord e poi verso sud. Dopo 24 ore arriviamo a Sestri Levante dove pernottiamo all’addiaccio, nel piazzale di una caserma. Il giorno dopo possiamo proseguire con autocarri militari per la Caserma di Bolzaneto a nord di Sampierdarena.
Siamo addetti al rastrellamento di eventuali paracadutisti stranieri che possono essere lanciati sulla costa Ligure. A Bolzaneto incontriamo i reduci dal fronte Russo, pochi fortunati che a stento e con lunghe marce nella steppa ghiacciata avevano potuto raggiungere l’Italia, prima dell’inverno. Dopo alcune settimane eccoci di nuovo in partenza. Ignota la destinazione. La tradotta si ferma soltanto nelle gallerie. Ma dalle insegne delle stazioni, sia pure col treno in corsa, riusciamo a capire che ci si dirige verso il Sud. Finalmente ci fermiamo a sud di Roma e con gli autocarri siamo trasportati nei Castelli Romani: Albano, Pomezia, Aprilia, Littoria ecc. Nell’Agro Pontino Romano ci assestiamo definitivamente in località Decima, caposaldo n.13, Posta Militare n.93. Dalle fessure delle tende, poiché non ci era consentito uscire fuori, siamo stati spettatori impotenti delle incursioni e dei bombardamenti anglo-americani del 14 luglio su Velletri, del 19 luglio e del 13 agosto su Roma. Ingenti i danni sia a Velletri che a Roma nei quartieri di S. Lorenzo, Tiburtino, Prenestino ecc; migliaia i morti ed i feriti, in gran parte civili. La nostra controaerea era insufficiente ed “impotente”. Le fortezze volanti americane si alternavano ad ondate di 15-20 bombardieri alla volta da un’altezza di oltre 6 mila metri, visibili a fatica ad occhio nudo. Sembravano tanti uccellacci. Indisturbati poterono sganciare oltre 5 mila bombe provocando distruzione e morte. I nostri pochi aerei e le batterie antiaeree nulla poterono contro gli oltre mille aerei da bombardamento e dei caccia anglo-americani. Intanto tra il 9 e il 10 gli Inglesi e gli Americani erano sbarcati in Sicilia, e dopo circa un mese poterono sbarcare in Calabria. I bombardamenti continuavano sia al nord che al sud. Genova, Milano, Torino, Reggio Calabria, Cosenza, Napoli erano continuamente bombardate. Non abbiamo notizie dei nostri familiari fin da luglio. Il 3 di settembre 1943, a Cassibile, l’Italia firma l’armistizio con una resa incondizionata. Il maresciallo Pietro Badoglio, che il 26 luglio aveva sostituito Benito Mussolini a capo del governo, verso le ore 19 dell’8 settembre, annuncia l’armistizio al Paese. Il giorno 9, il capo del governo, il re ed il suo seguito, scappano da Roma verso Pescara, lasciando il Paese e i soldati in balia dei Tedeschi.
Al caposaldo n.13 abbiamo appreso la notizia dell’armistizio dal tenente Esposito che rientrato da Roma nei pressi dell’accampamento era stato fermato dai Tedeschi. Questi avevano interesse a non inasprire la situazione. Essi erano collocati in seconda linea con una divisione corazzata dotata di potenti carri armati “Tigre”. Una volta da noi, il tenente ci esortò di stare all’erta. Verso la mezzanotte i Tedeschi convinti che noi eravamo addormentati fecero di tutto per entrare nel caposaldo. Al grido di aiuto di una sentinella si incominciò a sparare: raffiche di mitraglia, qualche cannonata; un’enorme confusione. Chi diceva: sparate! Chi gridava: non sparate! Dopo alcuni istanti ci troviamo con i Tedeschi in mezzo a noi. Da un tedesco fui preso alla spalla sinistra dove avevo il moschetto, tentando di trascinarmi verso valle dove c’erano i Tedeschi. Mi divincolai con uno strattone chiamando in mio aiuto gli altri che nel frattempo erano spariti. Il tedesco mi lascia; a carponi per oltre duecento metri in 4, raggiungiamo la postazione in cemento armato ove informiamo il Ten. Esposito della situazione. Inutili sono state le esortazioni a scendere giù; noi 4 abbiamo continuato fino al comando di compagnia dove il Cap. Gangemi cercava di calmarci e di prendere posizione contro i Tedeschi. Bisogna resistere con i moschetti contro i carri armati “Tigre”; abbiamo appreso poi subito dopo, verso l’alba, che il tenente con i soldati, compreso il compaesano Antonio Simari, erano stati portati via. E si fecero due anni di prigionia. La stessa sorte toccò, dopo circa mezzora, al Capitano ed agli altri soldati. La disfatta militare dell’asse Roma- Berlino-Tokio era una tragica anticipazione della fine che avverrà dopo due anni nel 1945, con tanti morti, con molti feriti, con enormi devastazioni.
Il sottoscritto, il caporalmaggiore reduce dal fronte russo, il caporale Prisco, ed il mitragliere De Luca, tutti della Campania, per tre giorni camminiamo tra i vigneti per evitare i tedeschi. Quando arriviamo a Terracina ci salutiamo. Loro andavano verso Napoli, io, invece, da solo ho preso la strada per la Calabria, dopo essermi fornito di una vecchia bicicletta senza freni. Oltrepasso la linea del fronte a Casalbuono (Salerno) il 18 Settembre 1943. Dopo 13 lunghi giorni, torno a casa, eludendo per ben tre volte la prigionia; dopo una settimana rientra Luigi Iaconis, in seguito emigrato in Francia ove tuttora vive, mentre gli altri paesani: Antonio Simari, Astorino Giuseppe e Patrizio F. Saverio torneranno fra due anni dai campi di prigionia. Il 21 settembre all’isola di Cefalonia, la divisione Acqui resiste ai Tedeschi, ma solo per 3 giorni. I Tedeschi li puniscono severamente, massacrandoli tutti. Erano 4.500 soldati, oltre ai 1250 morti in combattimento. Ma il fatto di uccisioni, i nuovi conquistatori neppure hanno scherzato. Il 3 settembre presso Valle Piccola i civili e innocenti contadini Astorino Giovanni di anni 55 ed il figlio Pietro di anni 18 sono mitragliati ed uccisi unitamente al loro asino, che probabilmente i nuovi padroni lo hanno scambiato per un carro armato. Una vettura con a bordo l’autista Urso Bernardo viene anch’essa centrata e incendiata. Bernardo Urso rimarrà ustionato in modo molto grave. Nella zona non vi erano obiettivi militari, ne soldati, per cui del tutto ingiustificata è stata l’azione degli ex nemici, in veste di amici.
Nell’Italia “liberata”, l’esercito si riorganizza. Tutti gli sbandati dell’8 settembre sono invitati a presentarsi ai centri di raccolta presso i Distretti Militari. Alcuni reparti sono stati rinviati in linea presso Cassino, dove i Tedeschi avevano organizzato una strenua resistenza. Amministrativamente nel nostro Comune il 10 settembre avviene il cambio tra il Commissario Prefettizio Dr. Gennaro De Campora con il Prof. Biagio Iaquinta. Successivamente con deliberazione n.143, in data 20/11/1943, viene nominato Commissario l’ex confinato politico rag. Bilardello. Era un periodo di transizione e ben poco si poteva fare in quel periodo. I partiti politici tradizionali già esistenti prima del ventennio, PCI-PSI-DC, stentavano a riprendersi. I primi ad organizzarsi sono stati i Comunisti. Questi si riunirono la prima volta in località Bacile, prima di aprire la sezione che poi fu aperta in via Roma presso il Dopolavoro, per trasferirsi in seguito a Casa Basile dov’era la sede del Fascio, per stabilirsi, infine, nel palazzo Benincasa. Per alcuni giorni fu ospitata anche in casa di Peppino di Gesù. Tra gli organizzatori vi figurano ex confinanti politici ed ex internati. Questi i principali partecipanti dell’epoca ovvero del 1943:
- rag. Bilardello- confinato politico;
- sarto Biafora Giuseppe detto Gesù;
- il giovane 18 enne Stilitano Gaetano;
- l’operaio Audia Pietro “Forella” già internato politico;
- l’operaio Chiodo Giuseppe “Scannalise” già internato politico;
- l’operaio Caputo Serafino “Ricise” già internato politico;
- il fotografo Marra Saverio “Isolitano”;
- l’operaio Pasquini Toscano, confinato politico.
Per il partito Socialista i primi a dar vita alla sezione sono stati:
- De Marco Tommaso – Cavallo Marino;
- Lopez Giuseppe-imprenditore agricolo;
- Urso Saverio “Lanificio-Tardaniellu”;
- Bitonti Giovanni detto “Cardamune”
- ecc. ecc.
La sezione della D.C. era rappresentata:
- dal prete Don Luigi Nicoletti;
- dall’orefice Giovanni Ferrari;
- dall’avv. Cesare Loria;
- dal Dr. Alberto Caputi;
- dal farmacista Dr. Francesco Barberio;
- dall’imprenditore agricolo Francesco Biafora.
Antonio Sciarrotta
Città di Gioacchino n. 18