Come individui rappresentiamo persone viventi, possediamo un simbolo, un Io, che si condivide con il mondo esterno abitato da altre persone viventi. Non può esistere un Io senza un Noi, che non sia formato dall’avvertito senso di appartenenza nei molteplici Io, quindi non si può avere memoria privata al di fuori dei sistemi sociali che servono a ritrovare i ricordi personali.
Venuti al mondo senza volerlo, in circostanze per noi accidentali, la nostra vita ha assunto i contorni di necessità improrogabili, perchè a nascere nell’immediato dopoguerra a San Giovanni in Fiore, in una famiglia di poveri contadini, restringeva sempre inesorabilmente il cono delle possibilità di trovare uno sbocco alle misere condizioni di vita dei nostri avi, noi non potevamo sognarci la luna ; le nostre scelte erano estramamente limitate e con ciò avevamo un triste destino : emigrare. Quindi nell’arco di diverse generazioni, molti di noi uscimmo dalle nostre case e non ritornammo mai più, numeri senza nome in qualche irrantracciabile elenco.
Oggi si resta impotenti nei riguardi di ciò che è già stato e avvenuto, la nostra volontà assiste male allo spettacolo del passato, non riesce ad andare a ritroso per cambiarlo, non può infrangere il tempo che fu, che essa non possa camminare a ritroso per molti emigranti ciò che fu è un macigno che la volontà non riesce a smuovere .
Dove sono le persone, i luoghi , gli eventi , le antiche forme di convivenza che ci hanno accompagnato nel corso delle nostre esistenze? Come era il mondo che abbiamo attraversato, il paese in cui siamo nati? Molto spesso e con forti emozioni l’emigrante ritorna a ritroso del tempo che fu, ad un passato che si dipana attraverso percorsi personali della memoria, dai quali si ricava segni e simboli per riappropriarsi del nostro antico modo di vivere .
Personalmente ricordo il paese della mia infanzia diviso in rughe : i Cappuccini, la Difesa, la Costa, la Vianovasuttana, u Scigato, il Timpone , u Timpariellu, la Filippa, il Corso , i Catoia, la Piazza, il Monastero, u Cuschinu, l’Ariella etc. Tutte erano come contrastanti stati, con le proprie tradizioni, le proprie leggi, ognuna la sua fierezza, ciascuna la propria nobiltà, reciprocamente considerata l’unica e la più importante.
La propria ruga di appartenenza era il punto di partenza e di riferimento per stabilire la nostra posizione nel paese e il nostro rapporto con gli altri paesani, era qualcosa di unitario dove le cose avevano il proprio significato in quanto i rapporti erano connessi con tutta la comunità. Si viveva insieme e insieme si traevano i mezzi di sostentamento da una terra avara. I doveri di buon vicinato e di reciproca assistenza erano inerenti alle misere condizioni di tutti, erano obblighi a cui nessuno poteva sottrarsi senza il timore di essere tagliati fuori dalla comunità della ruga; consisteva nella capacità di compiere ogni cosa insieme , nel rapporto comune che tutto regolava . Questo spirito di autosufficienza e lo spirito comunitario della ruga ci conferiva anche un senso di stabilità costringendo, ahimè, ogni generazione a ripercorrere il cammino delle precedenti.
Nonostante numerose opinioni in contrasto alle mie , la maggior parte delle nostre storie sono state di stenti , di separazioni e ricongiungimenti con parenti e paesani, di duro lavoro, di sofferenze, di spaesamento linguistico , di solitudine. Se il Paese del Rimpianto per molti rimane San Giovanni in Fiore in quanto loro ideale patria elettiva, la Nuova Terra deve essere per loro altrettanto bella , perchè la vita rimane sempre bella , almeno nella misura in cui il destino umano è soccorso dalla vigile memoria del passato e cosa , per me , più importante dalla prospettiva dell’avvenire.
Tony Arcuri